Napoli, 18 maggio 2005 – La Bagnoli che divide, ma che intanto resta ferma. Dalla Coppa America, la prima, quella della gestione Jervolino ma che le fu strappata da Valencia, a una cittadella di rifiuti. Andando più indietro, ma anche più avanti, si può dire che in cinquant’anni “si è passati dall’Italsider alla Bagnoli spa, poi alla Bagnolifutura e, adesso, a un impianto che raccolga rifiuti tra trasformare in compost, ovvero in concime”. Quel che è certo, ad ora, è che lo sviluppo dell’area stenta a decollare”. E’ quanto dichiara Rudy Girardi, presidente Acen, che riferisce della preoccupazione dei costruttori napoletani in un quartiere nel quale si rischia di perdere, ancora una volta, un’occasione di sviluppo e di lavoro. Basta annunci. Basta cambiamenti di rotta. L’Acen chiede le minime condizioni perché ci siano investimenti, perché i capitali arrivino e restino a Bagnoli. Dunque, progetti concreti, condivisi e con adeguata dotazione di risorse. Non dissimile la posizione di Giorgio De Francesco presidente X Municipalità, secondo il quale “dalla Coppa America ai rifiuti, questa amministrazione ha fatto fare a Bagnoli un salto verso il basso”.
La risposta non si fa attendere. Il vicesindaco Tommaso Sodano, entra nel merito del progetto e ricorda che a Napoli “si producono circa 150 mila tonnellate di frazione umida l’anno. L’idea è quella di creare tre mini-impianti di smaltimento a Scampia, a Napoli Est e a Bagnoli. Quello di Bagnoli sarà un impianto anaerobico, piccoli capannoni che non produrranno miasmi, visto che lavorano in assenza di ossigeno. E gestirà – sottolinea Sodano – non più di 35 mila tonnellate di rifiuti l’anno, quindi nessun aumento di camion nel quartiere, ma una razionalizzazione, con un Eco-distretto che invece di incenerire i rifiuti li valorizzerà, recuperando materia e creando posti di lavoro e sviluppo”. Si ragiona sulle possibili conseguenze. L’impianto di smaltimento dei rifiuti rischia, infatti, di rendere meno appetibili quei suoli, che già si vendono a 1300 euro a metro quadro. E dunque, il rischio resta il futuro reale del quartiere. Uno sviluppo che deve necessariamente passare per investimenti che potrebbero rivelarsi più timidi per la presenza di monnezza.
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