Caserta, 15 aprile 2011 – Tutti condannati. Quattro ergastoli e una pena detentiva di 23 anni sono stati inflitti al capoclan Giuseppe Setola, ai sui fedelissimi Alessandro Cirillo e Giovanni Letizia e all’autista factotum Davide Granata, ritenuti colpevoli della strage di Castelvolturno: nell’agosto del 2008 i quattro sono accusati di aver massacrato a colpi di arma da fuoco sei cittadini africani e un italiano. Ventitre anni, invece, per Antonio Alluce, il quinto imputato, che non partecipò direttamente all’agguato ma ad una intimidazione risalente ad un mese prima, contro il capo della comunità nigeriana. La sentenza arriva con una condanna aggravata dalle finalità terroristiche e dall’odio razziale, aggravanti mai prima d’ora contestate in un processo camorristico. L’agguato era solo l’ultimo atto di un piano preciso dei casalesi, e messo in atto da setola: ovvero colpire chiunque tagliasse la strada della malavita: giudici, giornalisti, imprenditori stanchi di pagare il pizzo. E loro, i nigeriani, considerati da setola, trafficanti di droga e dunque ricchi. E dunque, concorrenti dei clan locali. Nel piazzale della sartoria etnica al confine di Giugliano, a pagare furono però cinque ghanesi e un italiano innocenti. Un settimo ragazzo riuscì a salvarsi fingendosi morto. Innocenti, dunque. Che però Setola, travestito da poliziotto e riconosciuto dal sopravvissuto, avrebbe trucidato senza pietà. Un processo durato tre anni, ma la sentenza, come sottolinea anche il coordinatore della Dda di Napoli Federico Cafiero de Raho, rende giustizia all’intera comunità e ai pochi parenti delle vittime. Secondo la difesa, setola, in quel periodo si trovava in Calabria. Ma la corte, composta di due giudici e sei rappresentanti del popolo, non ha creduto alla linea difensiva. Per gli imputati, tre dei quali già detenuti al 41 bis, e due dietro le sbarre, sono state aggiunte anche le pene accessorie: isolamento diurno e perdita della patri podestà.
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