Quando uscì in Italia nel 2005, ormai otto anni fa, nessuno leggendo “Il capitale umano” di Stephen Amidon avrebbe pensato che il ritratto cinico e decadente della borghesia americana tracciato dall’autore sarebbe diventato presto il ritratto perfetto di una altrettanto cinica e decadente borghesia italiana come quella portata in scena da Paolo Virzì nel film, liberamente tratto da questo libro, in programmazione in tutti i cinema italiani.
Vale la pena forse andare a rileggere “Il capitale umano” poiché Amidon ci offre una dolorosa e travolgente riflessione narrativa sul nostro tempo. “In questo romanzo – ha dichiarato lo scrittore – descrivo la borghesia perché i miei genitori erano borghesi. È la fascia in assoluto più in pericolo in questo momento, perché è quella che deve affrontare la più grande delusione dei propri sogni, loro che credevano a un benessere a una felicità eterna. In Italia e in Europa in generale avete un maggior senso della caducità delle cose e della morte, che la società americana non contempla in alcun modo, drogandosi del mito della giovinezza infinita”.
L’America di Amidon è lo specchio di un mondo in cui denaro e affetti procedono affiancati o si separano secondo le circostanze. Un mondo in cui «l’utile» diventa anche bello, anche giusto, anche un sentimento, un sistema di valori dove anche il capitale umano viene valutato in termini di rimborso spese rispetto alle potenzialità produttive. Al termine della lettura del romanzo (e alla fine del film) “i periti dell’assicurazione calcolano quanto avrebbe maturato Jarvis se non avesse avuto l’incidente. Il suo potenziale. Il suo capitale umano, credo lo chiamino così. Ci sono dei software per determinarlo,incredibile no? Inserisci i dati del soggetto e per risposta hai il valore di un uomo”.
Jarvis è la vittima della storia, ignara e innocente, l’anello più debole di una catena sociale che regola inesorabilmente ogni cosa e la sua morte, per un incidente stradale, legherà il destino di due famiglie borghesi, una ricchissima e l’altra più modesta, fino a squarciare la loro esistenza basata sull’ostinata e perbenista volontà di apparire normali anche se ognuno dei loro membri verrà progressivamente travolto dai demoni che portano dentro di sé. La trama muove i suoi primi passi dal desiderio di fare di soldi di Drew Hagel, agente immobiliare sull’orlo del fallimento (nel film di Virzì è Dino Ossola, interpretato da Fabrizio Bentioglio), che incontra un’affarista miliardario Quint Manning (Giovanni Bernaschi nella versione italiana con l’interpretazione di Fabrizio Gifuni). Il riscatto offertogli da quest’ultimo si rivela un fuoco di paglia, poiché lo stesso Manning è prossimo a una disastrosa bancarotta. La figlia di Drew – Shannon – e il figlio di Quint – Jamie – si sono frequentati per qualche tempo, ma ora Shannon è dibattuta tra un sentimento inaspettato per Ian – un ragazzo difficile, in cura presso Ronnie, la psicologa che ha sposato Drew in seconde nozze – e l’affetto per Jamie, che sfoga la sfiducia paterna nell’alcool. Tutto sembra fermo, già scritto, già stabilito, finché un incidente stradale, di quelli di cui sono pieni le cronache, scatenerà una reazione a catena che invece tiene desta fino all’ultimo la tensione del romanzo il cui obiettivo, però, non è quello di dare scacco matto al responsabile dell’incidente ma ai sentimenti e ai destini incrociati di tutti i protagonisti.
Alla fine ogni cosa tornerà al suo posto, ognuno ritroverà la sua strada e persino la morte di un uomo troverà il suo “equo” risarcimento ma in questo ritorno all’ordine non c’è alcun ottimismo poiché i personaggi positivi si salveranno grazie all’amore e quelli negativi si salveranno lo stesso, grazie ai soldi.
Carla Falconi
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