Casal di Principe, 7 ottobre 2013 – Per il clan, quello dei Casalesi, si occupavano di “recupero crediti”. Gli toccava girare tra i negozianti in ritardo con la rata del pizzo, usare maniere convincenti perché questi si decidessero a onorare la tassa per la protezione, per poi depositare il tutto nelle casse di “famiglia”. Ma accadde che si registrò più di un ammanco, frutto di qualche lauta cresta praticata dai due esattori. Nei cui confronti la condanna fu emessa senza appello: morte.’O sergente, al secolo Alessandro Cirillo, e ’o zuoppo, all’anagrafe Giovanni Letizia, andavano assassinati per aver rubato al clan. Il peggiore degli sgarri. Giudice inappuntabile di quella condanna fu Giuseppe Setola, il meglio noto cecato, almeno sette morti ammazzati di suo pugno (nonostante l’attestazione di una grave patologia alla vista, da cui ne deriva l’alias). “Hanna cadé ‘nterra”, devono cadere a terra, vanno ammazzati, ordinò dalla detenzione domiciliare di Pavia, l’allora capo dell’ala stragista dei Casalesi al suo luogotenente Massimo Alfiero. E per farli “cadere” ed evitare errori, fu organizzata la trappola perfetta. Eppure l’esecuzione fallì. Questione di dettagli non previsti: all’appuntamento con la morte i due condannati pensarono bene di non recarsi. Consapevoli del torto fatto al clan, decisero che forse sarebbe stato meglio non andare in quella casa-bunker a Villa di Briano, un tiro di schioppo da Casal di Principe, dov’erano stati convocati da gente di cui si sarebbero dovuti fidare. Una volta dentro, gli sarebbe risultato alquanto difficile venirne fuori in buona salute e sulle proprie gambe. Per quella strategia omicidiaria fallita, è stata emessa un’ordinanza di custodia cautelare in carcere su richiesta della Dda di Napoli, nei confronti di tre persone: Gianluca Bidognetti, il figlio 25enne di Francesco – padrino dei Casalesi e noto come cicciotto ’e mezzanotte -, Giovanni Bartolucci, 32 anni, e Vincenzo Letizia, 27enne. Li accusano di essere i componenti di un commando – che contava ben sette uomini ed era munito di kalashnikov, fucili a pompa, mitra e semiautomatiche – incaricato di far fuori Cirillo e Letizia. Gli altri presunti killer, compreso il boss detenuto Giuseppe Setola, sono stati raggiunti da analoga ordinanza il 13 dicembre 2012. Correva la Primavera del 2008. Furono organizzati due gruppi di fuoco: tre sicari in quella casa, altri quattro fuori, pronti ad agire in caso di fuga delle vittime che avrebbe avuto del miracoloso. Ma in luogo dei due, nella casa della morte venne mandata una donna, una comare vicina al clan. L’attempata e inoffensiva ambasciatrice portò ai convenuti le scuse del sergente e dello zoppo che, avuta notizia di controlli in atto da parte delle forze dell’ordine, avevano ritenuto opportuno non mostrarsi in giro. L’atroce e fondato sospetto che lì avrebbero trovato la morte, non soltanto gli allungò la vita, ma gli avrebbe dato anche opportunità di carriera. Un paradosso, eppure è così. Scampato il pericolo, appena un anno più tardi entrarono nelle grazie del cecato, che li perdonò e li fece entrare a far parte della corte dei suoi sicari. E’ attorno a loro che Setola fondò il gruppo dei cosiddetti stragisti e seminò morte e terrore sul litorale domizio. E’ con Letizia e Cirillo che ‘o cecato condivide oggi una condanna all’ergastolo per la strage di Castelvolturno: l’assassinio di sei onesti operai immigrati scambiati per trafficanti di droga della mafia nigeriana. Era il 18 settembre 2008 e Setola mise la sua firma sotto una delle più brutte pagine di camorra, accanto a quelle di due uomini che appena pochi mesi prima avrebbe voluto trucidare senza pietà.
(giuseppe porzio)
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