Caserta, 22 ottobre 2013 – C’è anche un sacerdote tra le 14 persone indagate per aver favorito la latitanza del boss Nicola Panaro, , detto ‘Nicolino’, inserito nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi d’Italia, e arrestato il 13 aprile del 2013 a Lusciano, roccaforte dei Casalesi poco distante da Casal di Principe. Le indagini condotte dai carabinieri di casale hanno portato all’arresto di 14 persone ritenute a vario titolo complici della latitanza durata 7 anni del boss di Caserta. Secondo i militari gli arrestati, alcuni dei quali in sospettabili perché lontani dagli ambienti criminali, avrebbe fornito a Panaro la possibilità di muoversi liberamente in Italia e all’estero grazie a documenti falsi e di incontrare regolarmente la sua famiglia a Montecarlo sia in una villa a san Nicola Arcella, in provincia di Cosenza, ora sotto sequestro. A finire in manette, un dipendente dell’ufficio anagrafe di San Cipriano d’Aversa che avrebbe fornito al boss e alla moglie documenti riportanti le generalità di familiari dell’impiegato. E ancora tra i destinatari dell’ordinanza emessa dal GIP di Napoli al termine delle indagini condotte dalla Dda partenopea figura anche il figlio della proprietaria dell’appartamento di Lusciano dove fu trovato e arrestato Panaro. La rete di fiancheggiatori è stata ricostruita attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti, interrogatori di collaboratori di giustizia e analisi della documentazione cartacea. Propria da quest’ultima è emersa la posizione del parroco di una chiesa dell’agro aversano che dal 2010 avrebbe scritto al boss diverse lettere di incoraggiamento, dicendogli di pregare ogni giorno per lui ed di essere sempre disponibile. Ora gli investigatori stanno vagliando il contenuto di quelle lettere. Le accuse sono a vario titolo di ricettazione, procurata inosservanza di pena, intestazione fittizia di beni e alterazione dei documenti di identità, il tutto aggravato dall’avere favorito un clan camorristico. Nell’ambito della stessa operazione la Guardia di Finanza di Aversa ha anche sequestrato beni immobili, quote societarie, terreni e auto e motovetture riconducibili ai numerosi indagati dell’inchiesta che si aggiungono ai 14 arrestati, di cui uno già in carcere.
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