Napoli, 9 febbraio 2013 -“I primi due lotti dei restauri rischiano di far partire con il piede sbagliato quel ‘Cantiere Grande Pompei’ che nei giorni scorsi e’ stato inaugurato alla presenza di un imponente schieramento di autorita’ italiane ed europee”. Lo denunciano le segreterie, nazionale e campana, della Fillea, la categoria degli edili Cgil che organizza anche gli operatori del restauro e archeologia. Infatti, “i primi due lotti sono stati affidati con ribassi che arrivano fino al 50%”, prosegue la Fillea, secondo la quale le due gare, per il restauro della Casa del criptoportico e la Casa dei Dioscuri sono state aggiudicate “la prima a 305 mila, a fronte di una base d’asta per i lavori di 456mila euro, e la seconda a 685mila euro, a fronte di una base d’asta per i lavori di 1.430mila euro. Stiamo parlando di ribassi del 33% e del 52%!” Alla luce di questo, per la Fillea, “appare ancor piu’ stridente il contrasto di immagini dell’inaugurazione del cantiere del 6 febbraio, con fuori i cancelli i lavoratori a chiedere alle istituzioni di tradurre le grandi promesse di legalita’ in opportunita’ di lavoro vere e in un restauro di qualita’ di questo straordinario sito archeologico, e dall’altra il film di un taglio di nastro di un’opera pubblica affidata con un appaltato al 50% di ribasso”, una modalita’ che, per il sindacato, “cozza con i principi di qualita’ e trasparenza che dovrebbero invece caratterizzare gli appalti pubblici”.Dalla Fillea, quindi, la preoccupazione “per scendere cosi’ tanto rispetto a una base d’asta, che in genere corrisponde a una stima realistica del costo dell’opera, dove si andra’ a risparmiare? La risposta e’ facile: sul lavoro”. Per questo, il sindacato chiede alle istituzioni impegni precisi per affermare un percorso di qualita’ degli appalti e dei lavori, soprattutto in un cantiere come quello di Pompei, dove “siamo alle prese con una situazione a rischio, dove possono presentarsi contemporaneamente due pericolose distorsioni: da una parte la condizione generale di precariato degli operatori – dei 20mila in Italia il 52% sono precari – abituati quindi loro malgrado a dover accettare le piu’ diverse forme contrattuali”
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