Napoli, 10 dicembre 2012 – Il ritorno a Gomorra passa, come l’ultima volta, attraverso un’aula di tribunale. Napoli, Palazzo di Giustizia. Si rivede Roberto Saviano, contornato dalla sua scorta. Lo scrittore valica poco dopo le 9 uno degli ingressi laterali del Tribunale. L’ultima volta accadde tre anni fa. Oggi l’autore di Gomorra è parte civile contro capi e quadri delle diverse fazioni dei casalesi. Il processo vede imputati i boss Antonio Iovine e Francesco Bidognetti (entrambi detenuti al regime del carcere duro del 41 bis), insieme con i loro ex avvocati casertani Michele Santonastaso e Carmine D’Aniello. Per tutti l’accusa è di minacce e diffamazione nei confronti di Saviano e della giornalista Rosaria Capacchione. L’episodio risale al marzo del 2008: durante il processo in Corte d’Assise d’Appello denominato Spartacus, contro il gotha del cartello camorristico. In una di quelle tese udienze, Santonastaso, l’avvocato che all’epoca insieme al collega D’Aniello assisteva i boss Bidognetti e Iovine, lesse in aula una lettera con cui chiedeva ai giudici il trasferimento del processo per legittima suspicione. Quel testo era disseminato di espressioni minacciose sia nei confronti di Saviano e Capacchione, sia nei riguardi degli allora pubblici ministeri Federico Cafiero de Raho (oggi procuratore aggiunto della Distrettuale antimafia), sia di Raffaele Cantone (magistrato in servizio al Massimario della Cassazione), a tutela dei quali si procede a Roma. Per Saviano, com’è noto, non è la prima volta che si mostra in un’aula giudiziaria contro i padrini dei Casalesi. Già nel giugno 2008, proprio alla fine di quel dibattimento, Saviano attese tra i banchi dell’aula bunker di Poggioreale la lettura della sentenza d’appello che confermò quasi tutti gli ergastoli e le pene durissime inflitte a boss, luogotenenti e gregari di Casal di Principe, la sua Gomorra.
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