Napoli, 7 novembre 2012 – Nel cuore dell’inchiesta ci sono le donne. Dodici, tutte finite in manette nell’ultima operazione che ha fatto luce su un filo, neppure tanto sottile, tra la camorra di Secondigliano e quella di Torre del Greco. Donne boss, madrine di una malavita di una struttura piramidale come lo è quella torrese, del tutto simile a quella di Cosa Nostra. 48 gli arresti (20 dei quali già detenuti), oltre a un sequestro beni per un valore che supera i 40 milioni di euro tra conti correnti e appartamenti nei feudi della camorra. Le madrine colpite dai provvedimenti della magistratura antimafia sono la moglie di Giuseppe Falanga, fermata nel milanese, e quella del padrino deceduto Gaetano di Gioia, uscita in lacrime dalla sua abitazione torrese. Il consorte fu massacrato dagli “scissionisti” del suo stesso clan. Era il 31 maggio del 2009. E’ da quel fatto di sangue che l’Antimafia ha puntato il mirino sul business della droga tra Torre del Greco e Napoli, tre anni dopo le prove hanno riempito l’ordinanza di custodia cautelare eseguita nella notte. Ricostruito un affare internazionale di droga messo in piedi sull’asse Spagna-Italia. Un business reso possibile anche grazie all’intermediazione di un gruppo di marsigliesi, gente nota all’antimafia napoletana perché già finita in una recente indagine sulla camorra di Scafati. Dalla sponda francese, la droga veniva smistata dagli uomini del clan Amato-Pagano di Secondigliano, gli storici scisissionisti, quelli della prima faida a cavallo tra il 2004 e il 2005. A questi ultimi il compito di distribuire i carichi di cocaina, gran parte dei quali finivano sugli scaffali delle piazze di spaccio di Scampia, la restante parte aveva come destinazione Torre del Greco. Traffici che non si sono fermati neppure nei mesi di faida tra i Falanga, i Di Gioia, e una quota di scissionisti torresi che avevano deciso di “eliminare” fisicamente il vecchio sistema camorristico. Nel mezzo, una storia di intimidazioni a moglie e figlie di un collaboratore di giustizia da parte di una donna del clan per indurre il pentito a ritrattare le accuse. Donne che, come hanno sottolineato i magistrati della Dda, avevano di volta in volta ruoli sempre più importanti.
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