Napoli, 25 luglio 2012 – Si dovrebbe usare il condizionale, ma alla luce della decisione del gip il tempo indicativo è d’obbligo. Non è pericoloso. Non c’è pericolo di fuga. Né che possa inquinare le prove. Anzi, una prova da inquinare neppure ci sarebbe, una licenzia ce la prendiamo. Né, tantomeno, lo si può definire a capo di una piazza di spaccio. Figurarsi chiamarlo boss. Giusto per la stazza, non certo per la giustizia. Più o meno eccole qui le motivazioni con le quali il gip di Napoli, Umberto Lucarelli, ha stabilito di rimettere in libertà Antonio Mennetta, 27 anni, arrestato appena tre giorni fa dopo un concitato tentativo di fuga sui tetti di uno stabile a San Pietro a Patierno. Armato di solo se stesso e vestito, come le immagini mostrano, di boxer e canottiera. Torna libero questo personaggio che agli occhi del pool antimafia è apicale nei nuovi equilibri criminali nel perimetro delle eterne faide Di Lauro contro scissionisti e scissionisti contro se stessi.
Il magistrato che ha firmato il decreto di fermo nei confronti di Mennetta lo riteneva il capo del gruppo criminale della Vannella Grassi, rione della area più antica del quartiere Secondigliano vecchia. Scrive il gip che non c’è rischio che il Nostro possa far perdere le sue tracce “considerato – si legge nel provvedimento – che il pm fonda il pericolo di fuga su un dato meramente presunto e comunque non dimostrato, asserendo che l’indagato dispone di rifugi e gode di una rete di complicità, appoggi e protezioni sicure, che non trova fondamento in atti”. Il gip cita inoltre il provvedimento del Riesame che annullava gli arresti a giugno del 2011, quando fu ammanettato anche il Mennetta, “ritenendo non integrato un sufficiente quadro indiziario sulla sola delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Maurizio Prestieri, Antonio Pica e Carlo Capasso, i quali si limitavano a riconoscere in fotografia l’indagato quale affiliato al clan Di Lauro ma nulla dicevano circa la gestione da parte dello stesso di una piazza di spaccio”. Dodici mesi da quella data e il quadro indiziario non cambia. “Il pm – scrive il giudice – produce ulteriori verbali di dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Carlo Capasso, verbali del fratello Antonio Capasso, nonché Antonio Pica, Antonio Prestieri e Maurizio Prestieri; produce inoltre intercettazioni dei colloqui in carcere dell’indagato risalenti all’anno 2007 e dichiarazioni del nuovo collaboratore di giustizia Vincenzo Lombardi”. Tutti elementi che “non trovano riscontro in atti”. E le immagini di quella fuga sui tetti restano solo uno spaccato di colore e folklore nella memoria dei vicoli di San Pietro a Patierno.(giuseppe porzio)
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