Napoli, 29 maggio 2012 – Dodici ore nel chiuso di una stanza. A ricostruire, ricordare cosa aveva visto, cosa era successo. E perché la moglie si sarebbe dovuta suicidare a soli 33 anni, senza nessun altro motivo che un matrimonio che non voleva più decollare. E come aveva fatto a prendere la sua pistola. Dodici ore, poi il crollo. “Non si è suicidata, l’ho uccisa io. Non ci ho visto più”. Fine di un giallo. E un suicidio si trasforma in uxoricidio. E’ stato Salvatore Velotto, 35 anni, guardia particolare giurata in servizio presso l’istituto di vigilanza Cosmopol, ad Avellino, ad assassinare la moglie Vincenza Zullo, 33 anni, casalinga. Due figli, un ragazzino di 12 e una bambina di sette, e un matrimonio non più tale. Se pur non formalmente, nella loro abitazione di Brusciano, nel Nolano, i due erano da tempo poco più che coinquilini, molto più che separati in casa. Le liti erano frequenti. Discussioni, pare. Come pare che la violenza non sia mai entrata in questa casa. Qualche ceffone, qualche spintone. Nulla di più. Almeno non fino all’altra notte. In realtà, a scavare nel passato dell’uomo, non si fatica a trovare più di qualche fantasma: denunce per lesioni personali, minacce, ingiurie. Addirittura un arresto, datato 1988, per estorsione. Eppure, contro il parere opposto delle forze dell’ordine, che avevano inoltrato la richiesta di interdittiva alla Prefettura di Avellino, Salvatore Velotto aveva ottenuto il decreto di guardia giurata e il porto d’armi. Non c’è traccia di denuncia per violenze nei confronti della moglie. Ma ha avuto la forza e il coraggio di impugnare la sua arma e far fuoco contro la consorte: un colpo solo, al viso. E’ accaduto nella notte tra lunedì e martedì. La lite, a quanto pare, sarebbe iniziata nella camera da letto. Lì dove Velotto avrebbe impugnato la sua arma, una pistola calibro 9. Inseguendo la donna fino alla camera da letto. E sparando. Da distanza ravvicinata. Salvatore chiama il 112: “Mia moglie si è suicidata con la mia pistola”. Qualcosa non quadra. Su disposizione della Procura di Nola, Salvatore viene condotto negli uffici della compagnia dell’Arma di Castello di Cisterna. Ore e ore sotto torchio. Troppe contraddizioni nella ricostruzione. Alla fine, il crollo. “L’ho ammazzata io”. Lo portano via in manette, mentre un gruppo di parenti della donna, assiepati all’esterno, tenta di linciarlo quando lo vedono portare via in manette.
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