L’epopea proletaria della famiglia sarda dei Chironi, iniziata con il romanzo “Stirpe”, continua nel nuovo libro di Marcello Fois intitolato “Nel tempo di mezzo”. «La fine non è una fine», si leggeva nella chiusura di quella tragedia familiare, dal sapore verghiano, che nelle ultime pagine vedeva la comparsa improvvisa di un nipote sconosciuto, figlio di Luigi Ippolito, morto lontano, inghiottito nell’orrore della Grande guerra. Vincenzo, è cresciuto in un orfanatrofio di Trieste come figlio di NN, finché un giorno gli annunciano che era stato riconosciuto in extremis dal padre e che aveva un cognome, quello dei Chironi, e parenti a Nuoro. Uno shock che il ragazzo, su cui il destino della sua stirpe ha già imposto la sua impronta arcaica e ineludibile, impiegherà anni per maturare, fino a quando, finita la seconda guerra mondiale, prenderà la decisione di partire per la Sardegna. Lo sbarco nell’isola, il viaggio verso Nuoro, il lungo cammino attraverso i paesaggi meravigliosi e aspri della Bargagia hanno qualcosa di mitico e Vincenzo è una specie di nuovo Enea tornato nella patria negata per rifondare la sua stirpe. L’anno è il 1943, e l’isola è in preda alla malaria e alla carestia, due eventi storici che nel racconto di Fois prendono le valenze metaforiche ed esemplari di una dannazione simile a quella dei Chironi o dei Malavoglia.
La stirpe dei Chironi, però, prosegue comunque, anche quando ogni speranza sembra perduta, in loro c’è una forza primigenia e le loro radici profonde esistono anche quando paiono perse e risorgono anche quando la loro storia sembra ridotta ad un dialogo con il passato e i suoi fantasmi. Le loro vicende, così come le sa raccontare l’autore, si spostano e si incastrano in tempi e avvenimenti nuovi, sorvolano e si fissano su alcuni particolari che poi prendono significato, tra il dolore della memoria e le ossessioni dei suoi personaggi, segnati da una vita dura come quella della loro terra. La storia di questa famiglia sarda è, infatti, la testimonianza di un legame profondo con le proprie radici e un atto d’amore dello scrittore per la sua terra, di cui ha narrato l’epopea già dai tempi di “Memoria del vuoto”, storia del brigante Michele Stocchino. Fois, ma come lui anche Salvatore Niffoi (“Ritorno a Baraule”, “La leggenda di Redenta Tiria”)e Michela Murgia (“Accabadora”), hanno fatto della Sardegna una sorta di corpo letterario e sentimentale attorno al quale narrare la storia di uomini e donne, di città e di comunità, di tradizioni e cambiamenti, in cui è impossibile non riconoscere tutta la vita e l’anima, la carne e il sangue della storia italiana degli ultimi 150 anni e il progressivo snaturarsi di una società che nella metà degli anni Cinquanta ha cominciato «a rigettare gli abiti locali come scorie di epoche remote e a barattare mobili fatti a mano per tinelli industriali».
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