Presentato alla prossima edizione del Premio Strega, il primo romanzo del germanista Giorgio Manacorda è una storia di collegio, terrorismo e rivoluzione che ha avuto una maturazione lunga, forse lenta e progressiva, durata circa trent’anni. «Il corridoio di legno», però, pubblicato dalle edizioni Voland, non è né un’autobiografia, né un romanzo storico ma piuttosto un romanzo generazionale avvitato intorno alla storia di un poliziotto che torna per un’indagine nel collegio di Berlino in cui ha passato l’adolescenza e dove si è formato il gruppo di amici che poi hanno dato origine alla lotta armata. Si chiama Giorgio, come l’autore, e torna sui luoghi in cui è cresciuto per ricostruire e capire la vicenda di due fratelli, Andrea e Silvestro. Il primo, spiega lo scrittore ,è l’intellettuale sofferente che lascia la Germania per andare a cercare il fratello in Italia, a Roma, mentre Silvestro è l’anima negativa, il politico puro, quello che può anche cambiare bandiera. Sullo sfondo su cui si muovono i protagonisti ci sono gli anni di piombo e gli anni del collegio, microcosmo in cui si realizza tutto quello che poi si trasformerà in vita ma anche in violenza. Il terrorismo, infatti, nell’interpretazione che ne da Manacorda, non è una necessità ideologica ma piuttosto «la prosecuzione di una violenza vissuta in una piccola società». «Così anche la rivoluzione di cui si parla nel romanzo è – dice proprio Manacorda – una parola vuota tanto che nel libro ho dovuto immaginare l’Italia degli anni Settanta come un regime sudamericano, una situazione come quella dei Colonnelli in Grecia perché per fare il terrorismo ci deve essere uno Stato autoritario mentre in Italia c’è sempre stata la democrazia. I comunicati delle Brigate rosse sembravano deliranti perché parlavano di una realtà che non c’era, di uno Stato terribile che bisognava combattere con le armi. Io ho fatto il Sessantotto, conosciuto gente dell’ala estrema, e mi sono sempre sembrati scollati dalla realtà».
RSS feed for comments on this post. TrackBack URL