Napoli, 28 gennaio 2012 – Per un magistrato “é più difficile rendere giustizia a Napoli che a Torino, perché nella nostra città occorre essere più laboriosi, più sagaci, più umili, più coraggiosi, più indipendenti che mai”. Così il presidente della Corte di Appello di Napoli Antonio Buonajuto in uno dei passaggi più significativi della relazione con cui ha inaugurato l’anno giudiziario. Un capitolo dedicato alla questione della legalità in una “città liberatorio”, come l’ha definita Buonajuto, che ha messo l’accento sulle contraddizioni, sulle “scelte di tanta gente che ancora affolla l’incerto confine tra valori e disvalori, vissuti questi ultimi ora con l’arroganza ‘lazzara’ dei violenti, ora con la disperazione dei vinti”. Per Buonajuto occorre “che i cittadini e le istituzioni sappiano respingere le seduzioni degli untori dell’illegalità e sappiano imparare a dire no alle prassi indotte dal familismo amorale che, ad ogni livello sociale, connota tutte le relazioni interpersonali”. Il presidente della Corte ha ricordato che a Napoli “la stessa legge e l’esercizio dei diritti e del processo siano abusati e utilizzati per deviarne i fini, ostacolarne le tutele e rovesciando gli esiti, operazioni queste nelle quali i cultori del cavillo sono maestri”.
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