Napoli, 28 novembre 2011- Questa sera Salvatore Parolisi potrebbe essere fuori dal carcere. O, al contrario, essere costretto a rimanere nella sua cella – quella dove si trova con l’accusa di aver massacrato sua moglie, Melania Rea, a coltellate, lo scorso aprile – e a trovare nuovi elementi per convincere i giudici della sua innocenza. Oggi la Corte di Cassazione si pronuncia infatti sulla richiesta di scarcerazione presentata dagli avvocati di Parolisi. I faldoni che racchiudono i documenti raccolti su questa vicenda, che dopo oltre sette mesi ancora non ha trovato soluzione, sono ben dieci. Lì dentro ci sono particolari scottanti, a volte persino scabrosi, della doppia vita di Parolisi: ma nessuna prova regina.Vi si racconta dei tradimenti di Parolisi, specie con l’amante, una sua ex recluta, Ludovica. Le menzogne raccontate agli investigatori su questo punto. Le chat erotiche segrete, scritte dalla casa dei genitori della moglie. Ma sul delitto ci sono solo versioni contrastanti: secondo i Pm Melania non fu mai a Colle San Marco, come sostiene Parolisi, ma andò direttamente nel luogo dove il marito l’avrebbe massacrata. Per il caporalmaggiore la verità è una sola: i due erano con la figlioletta alle giostre del pianoro di Colle San Marco, poi lei ha detto di voler andare in bagno, ed è scomparsa. Per sempre.
I difensori hanno messo in luce elementi in grado di suscitare dubbi, anche profondi, nei giudici. Ad esempio, la presenza di dna maschile non riconducibile a Parolisi sotto le unghie di Melania. O un’impronta di scarpa da donna nel sangue ancora fresco ci Melania. O, da ultimo, la chiazza di sangue sulla coscia destra della vittima, incompatibile con gli abiti che Parolisi indossava quando è stato visto da testimoni a Colle San Marco. Ma quel momento, il momento in cui finalmente la realtà si fa oggettiva, è successivo a quello del delitto. E per l’accusa l’assassino avrebbe potuto cambiarsi d’abito. Oggi ci sarà una prima prova di forza tra le versioni di accusa e difesa. Oggi Parolisi potrebbe tornare libero, oppure rimanere in una cella, con un’accusa infamante addosso
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